Siamo ormai agli sgoccioli della stagione World Tour su strada 2021, con il solo Lombardia come classica monumento da disputare. L'anno di rinascita del ciclismo, dopo il dramma del Covid e la conseguente sfortunata e bislacca stagione 2020, si è dimostrato eccezionale. Una serie bellissima di corse, che ha visto finalmente il riavvicinarsi del pubblico, con una presenza ampia e competente, forse anche maggiore delle aspettatice. Il ciclismo è vivo e vegeto: uno sport popolare tradizionale, ma capace di emozionare sempre più ampie fasce di appassionati, sia dal punto di vista degli spettatori che dei praticanti. Facendo un discorso più ampio, non si può tralasciare di menzionare il boom che sta avendo il ciclismo femminile, dalle categorie giovanili fino alle pro.
Per quanto riguarda gli uomini, abbiamo ancora negli occhi la leggendaria cavalcata nel fango degli eroi della Parigi-Roubaix, da cui è emerso uno strepitoso Sonny Colbrelli. Una corsa come questa è lo spot più efficace a favore di uno sport troppo spesso bistrattato: chi ha avuto la fortuna di seguirla in TV, per non dire chi era sul posto, ha assistito ad una delle competizioni più dure, più combattute e più incerte degli ultimi anni. La vittoria azzurra ci rallegra perché un italiano è finalmente riuscito a salire sul gradino più alto dopo 22 anni (ultimo trionfo fu quello di Andrea Tafi nel 1999) e perché consegna alla storia e al futuro di questo sport un campione vero, che ha forse ottenuto tutto assieme ciò che la malasorte gli aveva tolto negli anni precedenti. In pochi mesi, campionato Italiano, Europeo e Roubaix, più altre cinque vittorie sparse. Ma, al di là del vincitore, ci sembra giusto di fare un plauso a tutti gli attori su quel palco epico e terribile che sono le pietre del nord della Francia. Una elite mondiale di atleti che rendono le classiche monumento, così come le corse a tappe, sempre incerte e battagliate.
Il bilancio dell'Italciclismo
Una stagione che per l'Italia, ancora orfana di un atleta competitivo nelle corse a tappe, vede la consacrazione di Filippo Ganna. Il verbanese è ormai il numero uno al mondo nelle prove a cronometro, status raggiunto dopo il dominio al Giro d'Italia, nel quartetto olimpico di inseguimento e nella conferma del titolo mondiale contro il tempo. Avendo già detto di Colbrelli, e in attesa della maturazione di alcuni giovani interessanti, per il resto il piatto è un po' povero, con atleti ormai in anagrafico declino (Nibali), oppure buoni ciclisti ma difficilmente competitivi con le superstar. Se però dovessimo puntare su qualcuno nella stagione, lo faremmo su Gianni Moscon. Una commovente e sfortunata prova alla Roubaix: rimasto in fuga da solo a più di 50 km dal traguardo, ha resistito con poco più di un minuto su un manipolo di scatenati inseguitori e solo una foratura e una caduta a 15 km dalla meta gli hanno tolto una possibile vittoria. Questa gara è tagliata sulle sue caratteristiche e siamo sicuri che l'approdo il prossimo anno all'Astana sarà un trampolino di lancio per il suo talento, non solo nella gara francese, ma anche in molte altre corse. Un talento che forse negli anni scorsi è rimasto imbrigliato nelle logiche tattiche della Sky/Ineos, ma è pronto ad esplodere, un po' come ha fatto Colbrelli quest'anno.
Per estendere il ragionamento in altre categorie, incontriamo un grandissimo bottino azzurro non solo alle Olimpiadi (dove l'inseguimento su pista è una certezza), ma anche e soprattutto ai Campionati del Mondo su strada in Belgio. A parte l'assenza di vittorie nella prova in linea degli Elite uomini a cui siamo purtroppo abituati da tempo, abbiamo dominato in molte altre gare: gli ori di Elisa Balsamo nella Elite femminile, di Filippo Baroncini nella Under 23 e iò trionfo dello stesso Ganna sono a dimostrare che il movimento ciclistico italiano è vario e solido.
Il ritorno di un ciclismo all'"antica"?
Dicevamo che la stagione è stata bellissima: le giovani superstar Pogacar ed Evenepoel sono maturati alla velocità della luce, gli ormai fortissimi Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe garantiscono spettacolo ad ogni corsa a cui partecipano. Roglic è un trattore su tutti i terreni, Bernal si è consolidato re nelle corse a tappe con un bel trionfo al Giro d'Italia. Il ciclismo sta evidentemente cambiando, e lo fa in meglio. Non solo la nuova generazione ha messo definitivamente alla porta i senatori che hanno scritto il ciclismo di pochi anni fa, ma le gare stesse sono cambiate. Vediamo molti meno tatticismi, e le squadre non sono più in grado di tenere legate le corse come fino a pochi anni fa. Meno treni in salita senza possibilità di fuga (Team Sky in questo era la squadra padrone), meno arrivi in volata nelle prove di pianura e vallonate. Questo si traduce in grandi possibilità delle fughe di arrivare: solo al Giro d'Italia, i pochi fuggitivi, o il singolo (anche più spesso) sono arrivati al traguardo in ben 15 occasioni su 19 tappe in linea disponibili. E al Tour e alla Vuelta la musica non cambia di tanto, con il gruppo che spesso non è stato capace di controllare la corsa, che dava una motivazione nuova alle fughe di giornata e alle uscite solitarie. Abbiamo scoperto corridori meno conosciuti, saliti alla ribalta mondiale con le loro imprese: siano essi giovani emergenti oppure luogotenenti e gregari che possono coronare con una vittoria la loro carriera. Abbiamo riassaporato un ciclismo bello e antico, meno legato alle logiche tattiche delle grandi squadri, ma più incline alla romantica fuga solitaria, magari con un finale che arride al David contro Golia.
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