Il ritiro dal professionismo di Fabio Aru e il declino dei campioni trentenni

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L'annuncio di Fabio Aru del ritiro dall'attività agonistica giunge inaspettato, ma alla fine dei conti nemmeno troppo. Il Cavaliere dei Quattro Mori ha avuto nel 2021 forse l'ultima annata utile per risalire quella china e ritrovare una competitività che gli permettesse, se non di vincere un Grand Tour, almeno di lottare per le posizioni di vertice.

Dopo una metà di stagione lenta e dedicata a macinare gare e chilometri, il sardo sembrava aver trovato una alchimia per duta: i secondi posti consecutivi al Sibiu Tour e alla più qualificata Vuelta a Burgos avevano fatto intravedere una flebile luce in fondo al tunnel e dato nuovi stimoli per la Vuelta España. Nel grande giro iberico, che si sta correndo in queste settimane, dopo un promettente inizio, Aru ha putroppo mostrato le croniche debolezze che subentrano dopo la prima settimana di corsa.

Probabilmente era però già scattata dentro di sé la consapevolezza di non poter esser più il ciclista in grado di vincere la Vuelta nel 2015 e di indossare la maglia gialla al Tour dopo una serie di imprese sulle montagne. Un declino che era cominciato nel 2018, complice un grave problema alla arteria iliaca e, qualcuno dice, uno sbagliato atteggiamento mentale.

Il declino di Quintana, Sagan, Bardet e Pinot

Ma c'è un elemento in più: nel ciclismo del passato si raggiungeva la maturità psico-fisica attorno ai 30 anni dopo un lento e costante miglioramento durante gli anni precedenti (pensiamo ai Moser, Bugno, Chiappucci, Indurain, Pantani, Basso). Nel professionismo a due ruote di oggi si osserva invece un declino prestazionale di grandi campioni attorno a quell'età. Nairo Quintana, vincitore di Giro e Vuelta fra i 24 e i 26 anni, non è più in grado da tempo di lottare per i vertici. Peter Sagan, a cui peraltro auguriamo grandi vittorie nel futuro, non è nemmeno lontano parente del tre volte Campione del Mondo e di colui che dominava le classiche del nord. Lo stesso Cavendish, dopo una carriera fulminante negli sprint che gli ha fruttato più di 100 vittorie, all'età di 30 anni si è spento per diversi anni. Ha ritrovato lo spunto vincente questa stagione, ma anche grazie alla perfetta organizzazione del treno della Deceunink. L'elenco potrebbe continuare, con fior di atleti che hanno avuto un'impressionante parabola discendente come Mikel Landa, i francesi PinotBardet (vincitore di una tappa alla Vuelta, ma mai in classifica negli ultimi anni), per non parlare della clamoroso stop di Tom Dumoulin.

C'è chi tira in ballo la programmazione: nel ciclismo moderno si diventa professionisti in giovanissima età dopo molti anni spesi nelle categoria giovanili al massimo livello di prestazioni, per poter ottenere vittorie molto presto (Sagan e Cavendish vincevano nei professionisti già a 21 anni), o, in altri casi (come Aru e i francesi) i giovani ciclisti sono sottoposti subito a grandi responsabilità e conseguenti immani sforzi come luogotenenti e poi come capitani. La conseguenza è il pagamento un forte dazio in termini di brevità di carriera vincente. La medicina dello sport ci dice che il fisico di un atleta è come un motore: la sua durata è lunga ma non illimitata. Se si eccede con il chilometraggio, con lo sfruttamento alla massima potenza, il fuori giri, allora il rischio di rottura o la perdita di potenza avverrà prima del tempo.

L'eccezione di Primoz Roglic e la nuova generazione di campioni

Una conferma alla regola è data da Primoz Roglic che è ancora tra i più forti al mondo e non si notano cenni di declino a quasi 32 anni. Ma lo sloveno, dopo una carriera sportiva iniziata nel salto con gli sci, è approdato al ciclismo a ben 24 anni, diventando vincente costantemente soltanto due anni dopo. In parole povere, un motore ancora “fresco” in rapporto a molti altri suoi colleghi.

In questo quadro globale del ciclismo professionistico rientra a buon diritto lo splendore di una nuova generazione di fenomeni delle due ruote, che ha dato la spallata finale alla vecchia guardia, e che ha alzato ancor più l'asticella della gioventù: Pogacar capace di vincere il Tour a 21 anni e diventare il più forte al mondo, Egan Bernal dominare il Giro a 24 anni, 2 anni dopo il trionfo agli Champs-Élysées;, Flippo Ganna essere il numero 1 al mondo nelle prove a cronometro a 25. E dietro a loro, una nidiata di ciclisti destinati a scrivere la storia del futuro: Evenepoel, Pidcock, Vingegard. Senza dimenticare che i fuoriclasse Van der Poel e Van Aert hanno solo 26 anni...Vedremo se la loro carriera subirà un declino secondo il trend attuale, oppure se riusciranno a smentire le teorie della medicina sportiva e ad avere una carriera più longeva. Dall'alto dei suoi 41 anni il nonno d'acciaio Alejandro Valverde continua a correre e ben..ma questa è un'altra eccezionale storia, studiata perfino nelle Università spagnole!

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Fabio Strufaldi

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